giovedì 12 febbraio 2009

Eluana Englaro, opinioni sul caso.


Pier Luigi baglioni, Memento per Eluana



- Original Message -----

Il giorno 11-02-2009 19:23, pier luigi baglioni, ha scritto a chi si agitava per la vita di Eluana :
Non vi seguo in questa drammatizzazione dell'evento finale di una povera ragazza tenuta in vita artificialmente da 17 anni, in coma profondo senza conoscenza, ridotta a larva umana. Ritengo che il leader Berlusconi abbia preso inaspettatamente la posizione contro il sig. Englaro più per compiacere la Chiesa che per sua intima convinzione. Non mi spiego altrimenti il decreto ben sapendo che il Presidente della Repubblica non lo avrebbe firmato. E do ragione a Feltri quando scrive che quell'atto -se lo riteneva giusto- lo doveva varare quando la consulta emise il nulla osta per la fine di Eluana.
Ma voglio scendere sul piano teologico anche io come chi crede interpretare il volere dell'Onnipotente. Credo che la volontà divina sia rassegnarsi al corso naturale delle cose, non di forzarle con tecniche e marchingegni scientifici.
Un sondino può essere al servizio dell'uomo se è surrettizio, in tempo limitato, per superare momenti di crisi, o di attese mediche o chirurgiche. Farlo divenire artificio e strumento di vita permanente violenta il corso della natura. In maniera che l'uomo vuole sostituire Dio, e forzare i suoi disegni celesti.In sostanza come una eutanasia alla rovescia.

Aldo Ciappi
Sent: Wednesday, February 11, 2009 7:51 PM


Come non vedere l’alto e “drammatico” significato simbolico di tale atto? In esso si è consumato l’attacco al principio dell’indisponibilità della vita umana, caposaldo della civiltà in cui siamo stati allevati. Abbattuto il principio dove ci si ferma?Per inciso, Eluana non era una malata terminale. Nessuno vuole ostinarsi contro la natura; quando sarà la nostra ora dovremo andarcene. Ma Eluana aveva solo bisogno di essere accudita; come una bambina.Se abbiamo (e basta andare in qualche befotrofio per vederne) un bambino che, per qualche malattia o altro evento, non può crescere e svilupparsi come gli altri che si fa? Lo eliminiamo? Qual è il discrimine? Chi lo stabilisce?Qui la fede non c’entra nulla. E’ l’umanità che è in gioco.


Replica conclusiva:

Partiamo da principi diversi considerando 'l'umanità in gioco' e continuando la discussione pesteremmo l'acqua nel mortaio. L'atto a cui -caro Aldo- lei si riferisce è stato montato e drammatizzato di proposito da parte del Vaticano per esorcizzare l'eventualità di introdurre l'eutanasia nel nostro ordinamento. Dopodiché la classe politica ha creato le due linee pro o contro tipiche e tradizionali del nostro modo di vivere la politica schierati in trincee antagoniste e contrapposte invece che scegliere soluzioni accettabili di volta in volta.
Come è possibile che un paese che ha nel suo ordinamento l'aborto che miete vite umane in divenire faccia tanto chiasso per prolungare una non vita al suo epilogo? Non ha senso.
O perlomeno lo ha solo 'usando' strumentalmente per fini politici il corpo esanime di una donna da tenere nella sua pseudo vita artificiale o interrompere il prolungamento di quel martirio.
L'umanità non è in gioco in Italia per Eluana. L'umanità è in gioco in Africa, nelle favelas sud americane e bidonville asiatiche... L'umanità è in gioco ovunque l'uomo muore di abbandono, dimenticato nella miseria.


pier luigi baglioni, blogger in genova

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ieri è storia oggi donodomani mistero

domenica 4 gennaio 2009

MASOCHISMO PALESTINESE.





Sabato 3 gennaio 2009 in tutta Italia, le maggiori a Roma e Milano, sono scesi in strada cortei pro Hamas al quale hanno partecipato in massa extracomunitari arabi immigrati regolari e clandestini, ma anche islamici con famiglia integrati e cittadini italiani.
Che Hamas sia una organizzazione terrorista che vuole la distruzione dello stato di Israele e non la pace in Palestina è un fatto conclamato. Che nei cortei numerose fossero ragazze mussulmane di seconda generazione, abituate ai diritti della donna e non alla sua oppressione maschilista come vuole il fondamentalismo islamico, è stupefacente. Nella grande moschea di Roma stava un iman -poi espulso- che nelle preghiere pronunciava le seguenti invocazioni:
"O Allah fai trionfare i combattenti islamici in Palestina, in Cecenia e altrove nel mondo! O Allah distruggi le case dei nemici dell' Islam! O Allah aiutaci a annientare i nemici dell' Islam! O Allah assicura ovunque la vittoria della Nazione dell'Islam!"
Probabilmente coloro che manifestavano contro Israele, mettendo a fuoco bandiere Israele, o portando striscioni con la Stella di David equiparata alla svastica la pensano alla stessa maniera. Difatti fossero per la pace chiederebbero ai loro dirigenti il riconoscimento di Israele, la convivenza pacifica invece del lancio dei missili sul suo territorio.
Appena Hams ha rotto la tregua e iniziato a rifilare missili su Israele nessuno ha detto bò. Eppure ci voleva poco ad capire che Israele non avrebbe subito all'infinito la situazione.
Per mio conto é questa insensibilità dei palestinesi per le ragioni dei loro vicini che mi rende insensibile anche per le loro.
La pace si costruisce in due, da soli c'è solo la resa. E questa per Israele non ci sarà mai.
Se il popolo della Palestina non farà proprio questo concetto vivrà sempre ostaggio dei terroristi. Nel sangue e nella miseria.

sabato 27 dicembre 2008

Resistere resistere resistere.



LA QUESTIONE MORALE ANNO 2009
commento di Pier Luigi Baglioni.


Miriam Mafai pubblicò presso la Mondatori il volume ‘Botteghe Oscure addio!’ in cui, tra ricordi e rimembranze, dopo Mani pulite, dava scontato il cambiamento radicale della vita politica con la moralizzazione dello stato italiano. Secondo lei sarebbe anche avvenuto un drastico ridimensionamento dell’economia dei partiti.
Mi domandai come fosse possibile per una accorta giornalista di sinistra fosse possibile prendere una simile cantonata pur conoscendo Il Gattopardo in cui Tommasi di Lampedusa fotografava l’indole indistruttibile della nostra nazione: cambiare qualcosa affinché nulla cambi.
Venti anni prima, nel 1976 dopo l’arresto per tangenti del mio referente politico Paolo Machiavelli, mi ero ritirato a vita privata e avevo scritto un racconto-verità che, partendo dal presupposto (indicato –a parole ma senza alcuna azione pratica- anche da Enrico Berlinguer) della ‘questione morale’ precedeva di 20 anni la realtà del finanziamento illecito dei partiti e l’arricchimento personale di molti politici professionali insinuati nelle istituzioni con quel compito. Spedito a uomini politici ed editori la mia testimonianza fu ignorata.
Non ero certo il primo. Ricordo agli inizi degli anni ‘80 un numero della rivista economica ‘Il Mondo’ tutto dedicato all’argomento della corruzione politica con inchieste che tracciavano la storia degli scandali italiani dall’aeroporto di Fiumicino, ai terremoti in Irpinia, in Sicilia, quello dei petroli in cui il parlamento promuoveva leggi volute dalle società petrolifere in cambio di sesquipedali ‘dazioni’ ai partiti… fino alle ‘creste’ sulle roulotte dei terremotati in Friuli chieste da Freato segretario del premier Aldo Moro.
Reso scettico da tali presupposti non credei per nulla a Mani pulite intuendo che tutta la faccenda si sarebbe risolta togliendo di mezzo una classe politica per sostituirla con un’altra. E garantire una bella carriera politica alla testa di turco dell’operazione.
Sono passati anni ed in Italia nulla cambia. Come per la mafia anche per la corruzione politica nei decenni leggo i soliti editoriali, ascolto i medesimi discorsi. Ed ogni volta pare che politica e pubblicistica nostrana scoprano enfaticamente l’umidità nei pozzi.

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martedì 2 dicembre 2008






Scriveva Oriana Fallaci nella indimenticabile ‘intervista a sé stessa’, parlando di Gasparri:<< … sembra lo scemo del villaggio. Ha una faccia così poco intelligente, poverino, e un labbro così pendulo, che vien voglia di pagargli una plastica. Quanto a ciò che dice, bè: non molto tempo fa scivolò su una bucia di banana farfugliando un discorso da cui risultava che Mussolini era stato un Padre della Patria >>. Io stesso, quando telefonò in diretta nella trasmissione di Simona Ventura attaccandola per aver concesso spazio ad una satira verso di lui; mi posi la domanda: “Ma questo è un ministro della Repubblica?”.Alla vittoria di Obama per la presidenza USA ha sparato un’altra cazzata: “Bin Laden” –o Al Quaeda non ricordo bene, ma la sostanza è la stessa- “sarà contento”. Per annotare quanto sia perspicace politicamente Al Zawahiri insulta e minaccia Obama presidente eletto Usa definito «negro».Ora se la prende con 'che tempo che fa' la bella trasmissione di Fazio che parla di politica e costume prendendo pretesto dalla meteorologia. Lo accusa di invitare solo compagni suoi della sinistra, incavolato per la convincente intervista ai Soro, leader sardo del PD, che ha fatto una convincente e degna figura. Ancora una volta parla a sproposito, senza efficacia politica; esponendosi a brutte figure. Insomma non se la deve prendere con chi è più bravo di lui nel fare politica, ma se la deve prendere con i coglioni della sua parte che non sanno né gestirla né esercitarla.Se giornalisti, comici, magistrati ... Se scuola, università, quotidiani e TV ... sono farcite di dirigenti, funzionari, direttori, operatori, artisti... di sinistra, un motivo ci deve essere.Ed é il lavoro e la 'carriera' che se non sei collocato a sinistra non lo trove, e non la fai.Esempio tipico il discotecaro Jovanotti di Mediaset che appena entrato nell'ambiente ha abbandonato le magliette Usa, si è vestito da barbone, e fatto terzomondista della sinistra No global.Questa situazione deve analizzare Gasparri, non attaccare individualmente i protagonisti avversari che sanno fare bene il loro mestiere di propagandisti.







Racconto di pier luigi baglioni

Storia genovese di droga politicamente scorretta.



Valentina aveva diciotto anni. Un bocciolo di ragazza che stava appassendo senza che i genitori se ne rendessero conto. A toglierli dall’incoscienza fu la telefonata al padre d’uno sconosciuto in ufficio che portò in casa loro la tempesta: “ Parlo col papà di Valentina? Mi ascolti bene: controlli sua figlia. Si droga!”. Abbassò immediatamente la cornetta. Senza quella dritta –come si dice in genovese- la storia sarebbe finita male.
Presago dell’eventualità Enzo non chiuse occhio tutta la notte. Assillato dalla consapevolezza che il suo intervento sarebbe stato decisivo, si propose innanzi tutto di stabilire con certezza che la telefonata non fosse uno scherzo, o la malignità di un invidioso. Certo gli appariva chiara, ora, la trasformazione avvenuta nella radiosa immagine di Valentina adolescente contrapposta all’attuale di sua figlia, smagrita e orrendamente pallida. Notò lucidamente il suo odio per la scuola, la passione per il rock satanico e le idee anarchiche quando di Bakunin sapeva poco o nulla.
I giorni seguenti, improvvisato investigatore, si appostò alla scuola e pedinò la figlia all’uscita. Vide che frequentava un coetaneo anche lui magro come un chiodo. Bello ma di una bellezza avvizzita nonostante la gioventù. Si chiamava Aldo, e tutti sapevano della sua tossicodipendenza. Mica spinelli o erba. Si faceva d’eroina, a cui aveva iniziato anche Valentina con l’accorgimento di farle i buchi nel piede, tra l’alluce ed il metatarso. Prova provata la ebbe sottraendo nottetempo le orine dal vaso di camera e facendole analizzare in laboratorio.
Passò giorni terribili, scontri e litigate, prima di entrare in analisi, tutta la famigliola, alla divisione di Salute Mentale. L’equipe specialistica, quattro laureati in psicologia, sottoposero babbo, mamma e figlia ad una specie di osservazione dialogante che finì col responso della manchevole qualità di ‘padre’ di Enzo. Accusato di avere lesinato affetto e attenzione a Valentina –secondo loro- l’eroina ero lo sbocco naturale della sua inadeguatezza paterna. Bucarsi era la protesta, il grido, della figlia contro il suo babbo disattento. La dottoressa concluse la requisitoria con la frase: “Sua figlia le sta urlando: papà ci sono anche io”. “Ma che cazzo state dicendo?” inveì Enzo assumendo quel concetto come deleteria baggianata. Invece l’altro psicologo ribadì secco: “Lei vuole imporre la sua ‘normalità’ borghese degli ‘integrati’ alla figlia senza valutare che ella proprio non la vuole…”. Seguì un bel pistolotto sulla libertà personale, l’irregolarità quale valore, e l’ordine imposizione. “Ho capito la colpa è mia. Buongiorno e tante grazie” pensò uscendo senza mandarli a fanculo.
Se la faccenda si animava in una scelta di vita, fare la pittrice invece che la farmacista, non sarebbe certo stata una tragedia. Ma l’eroina no, non potevo accettarla. “Nessuna convivenza” stabilì fermo con se stesso “a qualsiasi costo”.
La generazione di Enzo ignorava la droga. Tutt’al più prendeva qualche sbronza. Ignorando il problema, egli non si era reso conto quanto fosse dilagato nella gioventù sulle ali dei concetti espressi da cattivi maestri camuffati da maîtres de la pensée.
La volontà di togliere Valentina dall’abisso, da quel momento, fu obiettivo imprescindibile. Capì che nessun aiuto gli sarebbe venuto dalla moglie annichilita dall’imprevisto stato di cose. Doveva cavarsela da solo.
Per prima cosa doveva rompere la relazione tra la figlia e Aldo (“il problema é lui non l’eroina”). Difficilissimo separarli se ella frequentava l’Istituto. Quindi “Niente più scuola per ora” le impose. Con le buone o le cattive tentò tenerla in clausura casalinga. Non le sarebbe mancato nulla, dischi preferiti, l’hi-fi nuovo… play station… tutto quanto il mercato offriva in fatto di passatempi. Ella accettò il patto, “o così o fuori”, pensando a come infrangerlo. Non senza combattere: quando il papà chiese l’abbandono temporaneo del Bertani, la bella scuola per segretarie d’azienda vicino alla Villetta Di Negro, stupendo parco pubblico con cascata d’acqua, grotte e museo d’arte giapponese, rifiutò decisamente. “E perché mai?” “Perché ti sei messa con un tossico”. Figuriamoci, Enzo era un bravo ragazzo: “…solo, abbandonato da tutti”. Lei lo voleva aiutare, dargli una mano, tirarlo fuori…Si mise a piangere. Il babbo pazientemente le spiegò come l’eroina uccide l’anima delle persone; annulla la volontà, sopprime la dignità soggettiva: “Sai nulla della famiglia di Aldo? Avevano un bel negozio, appartamento di proprietà; una vita serena e agiata. Tutto cancellato. Per pagare i suoi spacciatori hanno dilapidato ogni sostanza. Questo in casa mia non avverrà.”
Da quel momento non le disse più nulla. Pranzavano in silenzio, restando giorni senza profferire verbo (zitti e fermi come dei ciclisti quando fanno surplace).
Tuttavia Aldo non intendeva rinunciare a Valentina. Cercò riprendersi la preda girovagando per Sampierdarena, appostandosi sul portone di casa.
“Se ti vedo gironzolare intorno ti sparo in bocca” gli disse Enzo per mettergli paura. Inutile. Ci voleva ben altro. Proseguendo l’assedio asfissiante il padre di Valentina non poteva restare inerte. Si recò al Comando dei Carabinieri che declinò ogni possibilità di intervenire. Allora ci pensò lui.
Si rivolse ad un balordo della compagnia di Aldo sempre assetato di denaro. BodyCuoio, uno skeenead, ultras della Sampdoria dalla testa rasata, le braccia piene di aquile e serpenti tatuati in rosso e nero. Per cinquecento euro confezionò la bustina dell’over dose che lo tolse di torno.





lunedì 24 novembre 2008

GENOVA PER NOI

E DI GENOVA CHE NE PENSATE ?


Sono vissuto a Genova ma nato in Toscana. Codeste radici una volta mi avrebbero marchiato di ‘foresto’. Oggi foresti in patria si sentono i genovesi. Quella minoranza che ancora usa il dialetto. Già nella mia gioventù a Genova si parlava italiano oramai imposto dalla TV. Popolo delle periferie e mondo delle professioni, coltivano il dialetto con civetteria. I ‘signori’ con tono aulico, musicale, imitando le cantilene di Gilberto, dicono 'mandillo' 'ghirindun' 'macramé' (fazzoletto, comodino, asciugamani) con tono elegante. Mentre le labbra dei ‘camalli’ dal tono rauco compiaciuti intercalano 'belin' 'mena belin' e 'sussa belin' ad ogni discorso.
Genova e’ stata chiusa in se per quasi tutto il ‘900. Pure figlia della secolare e gloriosa Repubblica di San Giorgio, erede di grandi tradizioni e capacità di autogoverno, si chiuse in se corrotta dalle prebende romane delle Partecipazioni Statali e dal corporativismo delle compagnie portuali (medievale residuo di anacronistica imprenditorialità).
Nel secondo dopoguerra una classe di amministratori, scelti non sulle capacità ma sull'ideologia, diede alla città il colpo di grazia con la selvaggia cementificazione dei monti e dei quartieri.
Oggi la mutazione più triste avviene nei “caruggi" una volta cuore vivo cittadino. Nel Centro Storico si muoveva un formicaio di artigiani, e commercianti. Gli ‘scagni’ prendevano luce dai pannelli inclinati fuori dalle finestre prima che il baricentro si spostasse in Piccapietra. E in via della Maddalena, o dei Giustiniani; non più trallalleri nelle ostaie di Sottoripa frequentate da carovanae, barcaieu, pescheu, ciattaieu, ligaballe e carenanti in libera uscita dal Porto che non era ancora Antico. Al posto delle ‘torte e farinate’ banchi Kebap, e di ‘Queglia’ canti arabi, e nenie più consone alle dune che ai muri dell’antica Repubblica Marinara.
Il Centro Storico è méta di tossici, spaccio, prostituzione. Luogo di triste squallore. Non che prima fosse immune dall’atmosfera d’ogni angiporto. Ma senza droga, né criminalità, non c’era pericolo. Anche la borghesia, dopo lo spettacolo al ‘Piccolo’ di Ivo Chiesa, scendeva da Don Vincenzo a gustare la pizza. O compiere un tuffo nella trasgressione al Trocadero o lo Zanzibar.
La desolazione attuale fa ricordare cosa fecero i Dogi contro i Mori e Saracini autori di sanguinose scorrerie sui territori della Repubblica. Fortificarono la costa da Levanto a Nizza con Castelli e Torri d’avvistamento. Costituirono tre magistrature. Una per gestire la rete spionistica di segnalazione delle navi saracine in partenza dai porti africani e Medio Oriente. Una per raccogliere soldi destinati alle opere di difesa come il grande Castello di Nizza. Infine la terza per setacciare i mercati di schiavi alla ricerca dei rapiti. Trattarne l'acquisto e provvedere al riscatto per riportarli in patria. Uno sforzo economico enorme senza ruberie né malversazioni.
Una recente mostra a Palazzo Ducale celebrò ‘Los Siglos de Los Genoveses’ illustrando i secoli di splendore e prosperità dal 900 al 1700, malgrado le guerre con Pisa, Venezia, Milano; e l’ostilità di Francia, Spagna e Austria.
Oggi la mondializzazione esprime nella città una forte contaminazione etnica. Prima, per i cittadini andare da un paese all'altro, Torriglia o Voltaggio, era più raro che attraversare l'Atlantico. Ora si va e viene in tutto il mondo in un baleno. Già il boom economico del dopoguerra, in breve tempo, portò correnti d’immigrazione dal sud, e dalle campagne. Ma erano italiani, non si creò il trauma attuale di asiatici, africani, sud americani… clandestini che ogni giorno s’insediano incontrollati nel Centro Storico. Vada per chi si sistema offrendosi manodopera in nero. Coprono una necessità. Sarebbero una risorsa se fosse pilotata legalmente. Purtroppo le istituzioni sono latitanti. Lo stato è debole mentre la criminalità è forte, padrona della clandestinità. Molti extracomunitari vivono trattati da schiavi. Altri in baraccopoli, case abbandonate, in un degrado indecente. Vergognoso per un paese civile. E se cinesi e latino americani trovano insediamento normale col commercio o lavori domiciliari; una parte cospicua del mondo clandestino vive di scippi e rapine; spacciando droga, gestendo la prostituzione... Il risultato é degrado sociale non la 'società multietnica' decantata dai responsabili dell'afflusso incontrollato.
Io mi auguro e auspico che tutto questo sia di transizione. Periodo temporaneo. Che sfoci nel futuro in armonia nazionale multi etnica come negli USA. Ma non vedo la volontà delle istituzioni di procedere verso quell’approdo.

Pier Luigi baglioni



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venerdì 14 novembre 2008



Massiccio del Marguareis

e Canalone dei Genovesi.




L'AVVENTURA

DEL MARGUAREIS



racconto



La montagna mi entrò nel cuore da sposato, dopo il diploma e l’impiego in fabbrica. Prima, lo confesso, ero un topo di città, un giovanotto gaudente, sempre in giro per strada, piuttosto in centro che nel mio quartiere. Musica e sottane le uniche preoccupazioni anche se, studiando all’Istituto per Periti Industriali, ne avrei dovuto avere altre. In più la mia famiglia, poco abbiente, non mi permise fino ai primi stipendi conoscere turismo e vacanze. Di fatti non mi ero mai mosso da Genova. Il che, d’altronde, essendo città di mare, con annessa riviera méta di villeggianti, non mi diede mai alcuna frustrazione. L’estate facevo quotidianamente i bagni nella bella spiaggia libera di Cornigliano, sulla scogliera del Castello Raggio, prima fosse abbattuto per farci l’italsider, ove avrei lavorato, e
l’aeroporto.
Un bamboccione ‘di strada’ intendiamoci per quello che il termine significava negli anni ’50 dell’immediato dopoguerra. ovvero un allegro giovane squattrinato e perditempo ben descritto da Federico Fellini nel film ‘I Vitelloni’. Maturando negli anni, con impiego e matrimonio, cambiando amicizie e modo di vivere, divenni altra persona. Abbandonando le soste al bar, i giri a vuoto nel corso cittadino, cercai altri interessi per il tempo libero. Uno fu l’alpinismo accattivato dal collega d’ufficio, l’ingegner Pozzi, che sul lavoro ripresi l’uso scolastico del cognome (mentre tra gli amici di strada ci chiamavamo per nome).
Pozzi era un rocciatore appassionato. Occupava la scrivania di fronte alla mia e nei momenti di relax mi parlava delle sue imprese passate, di quelle future. Aveva il cassetto pieno di fotografie, di libri della montagna, dei percorsi e dei rifugi. Sapeva tutto sulle catene e l’altezza delle vette. Un mattino, dopo un anno che decantava le meraviglie delle ascensioni, mi domandò: “Perché non vieni con me domenica prossima? Vado sul Marguareis.” Acconsentii ignaro di ciò che mi attendeva . “Andremo sulla cima passando per il ‘canalone dei genovesi’ mentre le nostre mogli ci aspetteranno al rifugio Garelli” specificò. “Ma non ho alcuna conoscenza di roccia…” “Facciamo la strada più facile, non ti preoccupare”.
Comperai i classici pantaloni di velluto caky, stretti col fermaglio appena sotto le ginocchia; scarponi alpini a stringhe con la cinghietta allo stinco tipici dei soldati alpini di quei tempi. Una bella giacca a vento, il maglione rosso, e la camicia di lana spessa a quadri rossoneri. Lo zaino di tela lo avevo dal militare. Guardandomi allo specchio mi piacqui molto sentendomi una specie di sherpa tibetano. Con la macchina raggiungemmo Villanova. Presso un cascinale ritirammo la chiave del rifugio. Posteggiammo le auto ai margini di un prato e tutti e quattro raggiungemmo il tozzo edificio; due stanze piano terra, cucina e camera coi lettini a castello. Passammo la notte con nugoli di topi che si divertivano a correrci addosso in tutte le direzioni, mentre le mogli gridavano come aquile. Per fortuna la grande stanchezza le gettò nel sonno completamente coperte dentro il sacco a pelo. Noi alle quattro del mattino prendemmo il sentiero per marciare verso la vetta del Marguareis. La camminata d’avvicinamento alle falde durò cinque ore. Alle ore nove eravamo sotto una gola di pietre, uno scosceso sassoso ripido canalone detto ‘dei genovesi’. “Risaliamo a zig zag per evitare slavine” ordinò l’ingegnere, e sicuro e spedito s’avviò, mentre io lo seguii trotterellandogli dietro come un cagnolino.

Ero felice. Mi piaceva l’impresa, il verde paesaggio. L’aria salubre e odorosa, alla quale non ero abituato. Respiravo a pieni polmoni. Quando la pietraia in salita finì ci trovammo sotto una parete verticale, alta come un grattacielo. “Ecco la vetta è lassù” mi indicò Pozzi. “Vai prima tu piano piano, senza guardare sotto. Metti mani e piedi come sulla scala”.

Infatuato, senza timore, iniziai l’ascensione avanzando facilmente poiché la parete aveva la roccia frastagliata, e trovavo sempre l’appiglio per mani, l’appoggio per i piedi. Ricordo che sbucai tirandomi sul bordo dell’ampio prato all’apice della montagna alla maniera di uno che scavalca un balcone. Raggiunto dal collega andammo alla Croce in Ferro della vetta e passeggiammo, mirando e rimirando il panorama. Ai piedi della Croce, sotto un cumulo di sassi, avvolto nel nylon trovammo il registro delle firme. Fiero vi scrissi: “‘Oggi prima domenica di maggio anno domini 1950 il sottoscritto Pier Luigi Baglioni si battezza alla montagna per la prima volta da Genova salito ai 2651 metri sul livello del mare del presente Marguareis’”.
Mentre sfogliavo il registro nel quale mi ero immortalato, Pozzi servì il caffè caldo dal suo thermos. Dopo il bicchiere sollecitò: “Bisogna rientrare, è meglio non perdere tempo, abbiamo altre sei ore di marcia prima di guadagnare il rifugio. Strada facendo pranzeremo al sacco”. Quelle parole, il sogno delle auto per il ritorno in serata a casa, mi destarono dall’incoscienza: “Dov’è il sentiero per scendere?” gli chiesi. “Sentieri non ce n’è. Dobbiamo rifare indietro la strada fatta”. E per farmi vedere si calò nella parete da cui eravamo saliti. Col naso incollato sulla roccia lo seguii ma dopo pochi metri mi prese il panico. Non riuscivo più a muovermi, tremando e senza fiato, rannicchiato in una nicchia della parete. Cercai Pozzi con lo sguardo e sventuratamente guardai giù. La valle spaziava immensa sotto i miei occhi. Ebbi un terribile capogiro, scoprendo una cosa a me sinora ignota: le vertigini. L’immensa distesa verde si perdeva all’orizzonte. Una conca di campi e boschi. Le rare casette mi apparvero incredibilmente piccole. Inoltre accentuò lo smarrimento vedere gli uccelli volare sotto di me, non sopra come la vista abituale dei gabbiani di quando prendevo il sole sulla spiaggia.
Stavo aggrappato all’anfratto come ventosa in preda all’angoscia. Pozzi, quando s’accorse che non lo seguivo, tornò sui suoi passi: “Che fai? Non vieni?” “No, non posso. Non ce la faccio. Ho paura.”
Lo vidi impallidire. Seguì una tiritera “Vieni” “No, non vengo” che durò almeno dieci minuti. Infine, visto che non riusciva a convincermi e sbloccare la situazione, rinunciò ad insistere.
Preoccupato mi disse: “Tu resta fermo lì. Io scendo a chiamare il soccorso alpino. Verremo a prenderti anche dopo il tramonto. Ma mi raccomando stai calmo. Non ti agitare, né muovere... Assolutamente!”. Riprese la discesa e lo vidi scomparire sotto i rilievi delle rocce. Allora mi spaventai ancora di più. “Pozzi! Pozzi!” gridai: “Pozzi, ritorna!” Il terrore di rimanere solo, accovacciato con la prospettiva di fare notte, valse a ricreare in me la volontà di procedere avanti. “Torna! Torna” gridai ancora.
Quando l’ebbi vicino gli borbottai “Voglio scendere con te. Ti seguirò!”. “Bene, il tratto è breve; ma non guardare in basso” rispose rincuorato e soddisfatto della decisione. “Dammi un minuto” chiesi per riacquistare determinazione e freddezza. Negli istanti successivi mi concentrai. Il pensiero della morte si disperse. Anzi nella mia mente nacque la sfida: “Vediamo chi vince” mi dissi sicuro che avrei battuto l’arpìa. Ripresa la padronanza di me stesso l’eventualità tragica non mi spaventò più. Mi sentivo forte, ora, e scesi freddo e accorto in fondo alla parete fino alla pietraia che come uno stradone portava dritta e scoscesa a valle.

“Bravo!” disse l’ingegnere quando arrivai “Ma sono stato incosciente a portarti lassù. Poteva finire anche male, e non sarebbe stata la prima volta. Dovevo dirti come stavano le cose”.
“Guarda che sarei venuto anche se descrivevi le difficoltà. Non me ne sarei reso conto, perciò non avrei creduto di avere paura. Farmi gelare da panico e vertigini”.
Avere superato quei momenti, ora però, mi diede estrema soddisfazione. Tuttavia, dopo un momento di silenzio, aggiunsi: “Però non ti seguirò più a scalare le pareti. Lo farai col Club Alpino
o da solo perché con me o sentieri di montagna o niente”.

Per anni ho riflettuto alla mia unica scalata del Marguareis. Mi fece assaporare l’amore per la montagna, ma anche il gusto del rischio di salire verso il cielo. Conquistare la parte terrena più vicina a Dio. L’alpinismo di roccia però non divenne passione. L’episodio è rimasto in un cantuccio dell’anima, senza svilupparsi. In seguito i figli, il lavoro, mi hanno separato dal collega.

Ho continuato le escursioni nei rifugi alpini ma più nell’inverno, coi soggiorni organizzati, per sciare nelle vacanze invernali. Nell’estate ho sempre preferito contemplare l’orizzonte marino. Godere del profondo silenzio montano è possibile anche senza scalare cime.




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mercoledì 12 novembre 2008

Cinque anni fa, Nassirya.

Nel novembre 2003 avvenne l'attentato al comandoitaliano delle truppe di stanza a Nassirya, zona affidata ai militari italiani per il controllo del territorio dai terroristi di Al Quaeda. Per i nostri soldati fu una strage; la peggiore dopo la seconda guerra mondiale.
Appena fuori della città, al fianco di uno stradone, stava un piazzale aperto con al fondo la costruzione in cemento armato che i soloni del nostro esercito assunsero come sede del comando territoriale. Nessun muro di difesa, né cancelli, né barriere in cemento. Il camion del terrorista suicida si presentò davanti all'edificio e si fece saltare in aria. Nulla poterono i pochi soldati di sentinella che si accorsero solo all'ultimo momento di quanto stava avvenendo.
Non so se l'on. Martino, ministro della difesa di allora, ordinò una inchiesta per accertare eventuali responsabilità nella sottovalutazione del pericolo in quella zona ostile e infida. Se la faciloneria sottintesa agli italiani brava gente, e amati dal popolo; prese la mano facendo ritenere inutili le più elementari norme di difesa e protezione in zona di guerra.
Nella commemorazione delle vittime grande afflato patriottico verso i soldati ammazzati dall'attentato, ma nulla sul perchè sia potuto avvenire con tanta facilità.

Il comando di Nassirya il giorno dell'attentato
e la visita del Ministro il giorno successivo.
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martedì 11 novembre 2008

Michele Santoro: la satira è sacra solo se colpisce Berlusca.


MICHELE SANTORO SATIREGGIA
MA RIFIUTA ESSERE SATIREGGIATO.


Joe Violanti è un imitatore radiofonico. Trae la sua comicità imitando Santoro nelle interviste a
politici italiani che -per la voce quasi identica- ci cadono pesci all'amo. Successe così anche a Sarah Palin quando credette di parlare con Sarkosy nel corso di un comizio elettorale.
Ebbene Santoro non accetta la satira. Infuriato ha diffidato la radio che ospita Joe Violanti.
Santoro nel suo talk show usa la satira come arma politica per denigrare gli avversari politici.

Ha un Vauro 'rifondarolo' che spara vignette come merda nel
ventilatore contro Berlusconi...

Però se qualcuno sfotte lui allora no, non vale.
E invece di cantare ' bella ciao' minaccia il ricorso alla magistratura.
Ineffabile Santoro!

lunedì 10 novembre 2008

Paolini colpisce ancora (e nessuno lo ferma).

Gabriele Paolini

Da qualche settimana riappare il rompicoglioni N° 1 dei telegiornali. Arriva alle spalle del giornalista in diretta e, col suo classico sorriso ebete, fa le corna. Oppure grida nel microfono qualche parola oscena e offensiva verso qualcuno della TV.Credo che i suoi demenziali 'exploit' rientrino interamente nel reato di interruzione di pubblico servizio. Oltre che di spettacolo penoso. Non riesco a capire come sia tollerato da RAI e Mediaset. E rimpiango il povero Frajese che -unico- lo prese a calci facendolo scappare (in diretta).
Ecco un altro tipo beneficiato dalla Legge 180, detta Basaglia, che ha abolito i manicomi e messo in libertà e in circolazione tutti i matti del nostro paese. Unica consolazione che almeno Paolini non ammazza la gente come quelli eufemisticamente detti 'psicolabili' che quasi ogni giorno animano la cronaca nera.

sabato 8 novembre 2008

MIA VIDEO COLLECTION



Renzo Arbore canta il celebre motivo di successo 'evergreen' ... e se domani... già interpretato da Mina, al termine del suo TalkShow 'Arboristeria'.
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lunedì 3 novembre 2008

Duetto di Noà e Kaled


Ospiti di ROCK POLITIC il talk show di Adriano Celentano sul canale RAI UNO, Noà e Kaled, cantano la canzone Imagin di Jhon Lennon.
La performance seguita una medesima presenza in duetto al concerto NATALE IN VATICANO trasmesso da Canale 5 , quando sul soglio pontificio sedeva Giovanni Paolo II. Un grande messaggio di pace e fratellanza che riuniva una ebrea, un mussulmano ospitati nel centro del cristianesimo. Avevo registrato il video clip di questa apparizione e postato nella rete. Evidentemente ha dato fastidio a qualcuno poichè il video mi é stato oscurato. Ora ho postato nel blog l'altra esecuzione della trasmissione di Celentano. Spero non faccia la stessa fine, perché il messaggio di fratellanza e di pace della canzone -e dei suoi interpreti- è troppo bello ed importante per rinunciare ad esporlo.
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